Continua la nostra esperienza tra fatica e impegno.
Da sabato siamo aumentati in famiglia con l’arrivo di nuove forze. Allo spettacolare aeroporto di Wau, rigorosamente fatto di fatiscenti baracche e dell’onnipresente terra rossa tipica del Sud Sudan, abbiamo accolto Elisa, Ruggero, Mario e Riccardo. Ora nella Volunteer House siamo in dodici, numero significativo e carico di aspettative. Dodici come le tribù che hanno dato vita all’esperienza del popolo d’Israele; dodici come i pavidi Apostoli che hanno cambiato il mondo a partire dalla Parola e dall’esempio che il Risorto ha consegnato loro. Dodici come noi che ancora ignoriamo il nostro futuro che avvertiamo però gravido di possibilità e opportunità.
Abbiamo partecipato, tra il rifacimento di una parte della tettoia dell’ospedale e le immancabili esigenze e urgenze domestiche, alla messa del villaggio, quella solenne, quella alta, quella accompagnata dal canto gioioso nella lingua locale e dai gesti tipici di questa cultura. Ci siamo andati dopo quelle trattative che qui sono all’ordine del giorno e che ci hanno portato a contrattare la sua durata con il padre salesiano che l’ha presieduta.
Due ore! Una conquista se pensiamo a quella di domenica scorsa che ha sfiorato le tre. Due ore di caldo torrido, di sudore nostro che si è mescolato a quello delle tante persone presenti. Due ore di odori ai quali facciamo davvero un po’ di fatica ad adattarci, grazie a Dio resi un attimo più sopportabili dal profumo dell’incenso rigorosamente tratto da resine locali.
Le due ore ci hanno dato la possibilità di riflettere sul senso del nostro essere qui, dopo quindici anni, a fianco di questa popolazione, delle loro sofferenze e delle loro speranze. E la riflessione non ha potuto che essere provocata dalla densa pagina del Vangelo che la Chiesa ci ha proposto, a Tonj come in Italia e in tutto il resto del mondo. Cristo sì o Cristo no? Perché il male? Ha davvero senso essere buoni? Davanti allo zelo dei servi che vorrebbero, come sembra logico, strappare la zizzania cresciuta insieme al grano, Dio invita ad aspettare, ad avere pazienza perché strappando anzitempo la zizzania, molto simile al grano all’inizio della sua crescita, si potrebbe erroneamente strappare anche qualche spiga. Il punto di vista di Dio, come al solito è diverso dal nostro. Dio è ossessivamente attento a quello che a noi spesso sfugge, come la pecora smarrita. Per Dio ciascuno è unico. Questo è il grande messaggio del Vangelo di ieri e di sempre.
La soluzione per il grano cresciuto insieme alla zizzania c’è: pazientare fino a vedere il frutto per potere distinguere le due colture. Solo a questo punto è giusto intervenire tagliando entrambi e separandoli. Il futuro della zizzania è il fuoco e quello del grano il granaio.
È forte la provocazione perché è un invito a non giudicare gli altri dal nostro punto di vista. In tutto quello che facciamo ci vuole un sacco di buon senso e di prudenza. Quindici anni di Tonjproject e di Africa ci hanno fatto maturare decisamente in questa convinzione: l’apparenza inganna e Dio lo sa bene, un po’ meno noi.
La pazienza lascia spazio e tempo al cambiamento. A noi il compito di essere persone, volontari, amici inguaribilmente ottimisti, cocciuti nella speranza, convinti che le persone possono sempre cambiare in meglio. Gesù ci chiede di avere pazienza perché il cuore dell’uomo può cambiare.
KEEP CALM allora.
Grazie Tonj perché ci hai cambiati in meglio.
Grazie Tonj perché il continuo pensiero alle tue povertà, ai tuoi bisogni e alle tue speranze ci hanno permesso di migliorare…
A quindici anni di impegno ci sentiamo diversi, in cammino anche grazie alle tante persone che hanno creduto nella nostra proposta e in mille modi diversi ci stanno sostenendo.
Una preghiera e un abbraccio e ricordiamocelo: KEEP CALM, abbiamo pazienza!
Dio vi strabenedica
Omar
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